L’evoluzione della biblioteca

Una biblioteca senza libri sembrava inconcepibile, ora sembra quasi inevitabile. Per cosa sono fatte le biblioteche, se non per conservare e far circolare i libri? Come possono sopravvivere? In cosa consiste l’evoluzione della biblioteca?

La nostra non è certo la prima epoca a voltare le spalle alle biblioteche, ma l’era digitale marcherà un’era di declino? Per chi non ha familiarità con le nuove tecnologie, la risposta potrebbe essere sì, ma consideriamo che ormai anche il più piccolo dispositivo mobile concede un accesso illimitato a un infinito pozzo di conoscenza.

Quello che forse si perderebbe sono le tradizioni, le sensazioni che ci può trasmettere una biblioteca. Nonostante i cambiamenti architettonici, del gusto e del design nei secoli, dai solenni scaffali in legno pregiato agli spazi più aperti  e accessibili, le biblioteche sono sempre degli splendidi edifici, dei monumentali templi del sapere. Il sociologo Ray Oldenburg li definirebbe terzi spazi, ossia luoghi dove non si abita o si lavora, ma spazi dove i cittadini sono liberi di aggregarsi. 

L’evoluzione della biblioteca sta proprio in questa definizione come terzo spazio. La scrittrice inglese Caitlin Moran spiega:

Una biblioteca è l’incrocio fra un’uscita di emergenza, una zattera di salvataggio e una celebrazione. Sono cattedrali della mente; ospedali dell’anima; parchi gioco dell’immaginazione. Su fredde e piovose isole, sono i soli spazi pubblici dove non sei un consumatore, ma un cittadino. 

Negli Stati Uniti, i bibliotecari stanno sperimentando nuove forme di coinvolgimento per i frequentatori, aprendo degli spazi chiamati maker-spaces, in cui vengono messi a disposizione utensili e macchinari, dalla macchina da cucire alla stampante 3D, per incoraggiare le persone a sviluppare delle capacità che non potrebbero praticare su internet.

Per coloro che sono scettici alla prospettiva che la loro biblioteca si trasformi in un circolo culturale senza libri, un gruppo di giovani artisti ha formato il Library as Incubator Project per promuovere una differente, ma non incompatibile, visione di terzo spazio, che coinvolge anche musica e arte. 

E’ facile immaginare come un’istituzione locale costruita su questo genere di programmi possa continuare a essere un ospedale dell’anima o un parco giochi dell’immaginazione anche dopo la possibile scomparsa di libri di carta.

L’altra scelta, per le biblioteche che hanno a loro disposizione più fondi, è produrre i propri contenuti: alcune biblioteche ospitano tecnologie di stampa on demand, come Espresso Book Machine, altre coinvolgono direttamente i cittadini nella produzione. Il progetto Digital Public Library of America sta costruendo una collezione digitale di tutto il materiale storico proveniente da biblioteche e dalle soffitte delle famiglie statunitensi, tra lettere e foto. L’obiettivo è quello di lavorare con le biblioteche locali per raccogliere il materiale ed eventualmente presentarlo alle comunità attraverso dei touchscreen per permettere loro di esplorare la loro storia. E’ una connessione fra mondo fisico e digitale. 

La differenza sta nel caricare contenuto, non solo scaricarlo.  

C’è poi il terzo caso: le biblioteche high-tech. Alcune delle costruzioni più recenti, come la Biblioteca Hunt, della North Carolina University funzionano con dei robot attivi 24 ore su 24 che in 2 o 5 minuti consegnano un libro ordinato da uno studente tramite cellulare o computer. La Hunt possiede anche dei laboratori per gli studenti delle facoltà scientifiche, con stanze dedicate alle simulazioni ingegneristiche e stanze dedicate agli studenti che collaborano con l’industria dei videogame.

Le biblioteche sopravviveranno se i cittadini ne hanno bisogno. Le alternative sono possibili, in un mondo che cambia, cambieranno anche le biblioteche. 

Fonte: What will become of the library?

 

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